Pubblicità sociale, ambiente e politica

giovedì, novembre 30, 2006

FLUX------->QOOB

Penso che da qualche giorno sia nato il futuro. Flux è diventata Qoob ed è andata sul digitale terrestre. Ora non so quante cose si possono fare col digitale ma su internet sono parecchie.
Iscrivendosi si ha in dotazione un blog, un angolo per le foto, e uno per inserire musica e video. In + tv in streaming, multiblog, multitv, multisharing, multiuso, pioneristica. Qualcuno dice: ah, come youtube o myspace. No molto meglio. Se fai le cose per bene puoi andare avere visibilità o entrare a far parte dello staff di lavoro, non male come cosa. Andate a guardare www.qoob.tv

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Da Luttazzi a Piazza Vittorio

La settimana (quasi) trascorsa, in pratica da venerdi ad oggi, mi ha riservato belle emozioni. Venerdi ho visto Luttazzi e le risate si sono sprecate, insieme a riflessioni altissime, con un finale col botto dove stavo letteralmente morendo dal ridere. Ieri ho visto il documusical sull'Orchestra di piazza Vittorio e lì le emozioni si sono aggrovigliate. E' un manifesto vero e proprio sulla globalizzazione, quella vera, quella buona, dove le persone si incontrano e invece di perdere le loro radici le usano per fare contaminazione. Ogni radice una persona, o uno strumento musicale. Sono messe in risalto le vite di ognuno dei componenti che giungono da tutte le parti del mondo. Ognuno una vita, ognuno una radice. Le difficoltà maggiori sono incontrate a causa della Bossi Fini o della gente razzista che vive nel quartiere, ma anche questo, purtroppo, fa parte del gioco. Per il resto l'integrazione in quel quartiere risulta molto facile anche per un giovane idiano che non era mai uscito dal suo borgo e non conosceva neanche una parola di inglese. Il documentario è, a momenti, strappalacrime (almeno per me). Rispecchia in toto quella che è la mia concezione di globalizzazione, anche a livello musicale. Sonorità bellissime nate dalla diversità. Ogni suono una radice. Roma è proprio un grande albero.
Il documentario che esce a natale in dvd con un cd gratis (quindi invito tutti a comprarlo), si chiude con una frase di Pasolini che recita : "tu sapessi cosa è Roma...".
Penso non ci sia frase migliore per definire il tutto. Forse non si finisce mai di sapere cosa è Roma, si impara sempre qualcosa di nuovo, di emozionante e di vero.
Forse è questa la "bellezza".

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domenica, novembre 26, 2006

Malore di Berlusconi


Malore di Silvio Berlusconi durante il congresso di Montecatini. Preoccupazione nel mondo politico e istituzionale. Purtroppo non è morto.

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martedì, novembre 21, 2006

Stati d'ansia

Oggi, rimettendo piedi in facoltà dopo un pò di tempo per trascorrere il pomeriggio in biblioteca, sono tornato a respirare quello stato d'ansia tipico degli ambienti scolastici, dove ci si guarda pensando:"chissà questo/a a che punto sta!?"/ "chissà questo se oltre a studiare lavora pure!?"/"chissà questa se me la da!? :D.
E tutti con la testa giu a studiare per raggiungere l'agognato obiettivo.
Così, mentre riflettevo sulla questione e pensavo di scriverci un post ho anche pensato che gli stati d'ansia da prestazione regolano la società, le persone corrono, scappano, si mimetizzano, fanno scalate, si arrampicano, per essere un gradino più sopra, per guardare dall'alto chi non ce l'ha fatta. La competizione è buona quando è sana (ma dubito anche di questo) e se qualcuno non ce la fa o non vuole farcela (perchè esiste anche chi se ne frega) non deve essere stigmatizzato. Solitamente chi infligge lo stigma lo fa non per sobillare ma per autoalimentare il proprio ego, per convicersi del fatto che il suo sforzo è servito a qualcosa. Questa merda di società crea disadattati fin dai primi anni di nascita, i bambini d'oggi a 5 anni sanno suonare il pianoforte, nuotare in diversi stili, parlare inglese e vanno già dallo psicologo se il docente li giudica "iperattivi". Dopo che gli fai fare tremila cosa come minimo sono iperattivi. E dei genitori che fanno a gara a chi ha il figlio più bravo e bello? Ne vogliamo parlare? E vai con l'ansia da prestazione.
Sono sinceramente stufo delle persone che ti giudicano e ti chiedono cosa combini nella vita senza sapere o chiedersi prima che problemi hai o hai avuto, chi sei, e perchè sei così. Ti chiedono che fai? Tu rispondi che ti stai laureando e loro ribattono che si so già laureati. Ma chi gliel'ha chiesto? Ah, dimenticavo, l'ansia da prestazione...
Ci sono persone che fanno mille cose nella vita, persone che ne fanno 100, persone che ne fanno zero, per i più svariati motivi. Non bisogna sentirsi inferiori nè superiori a nessuno perchè siamo tutti uguali, e nell'essere uguali abbiamo storie diverse. E' la società che impone modelli sbagliati che vengono seguiti senza chiedersi se sia giusto o meno farlo. Bisogna chiedersi dove ci porta questa tensione che si genera ogni giorno quando scendiamo per strada. Non esiste più la serenità e la spensieratezza. L'ozio!
Bisgnerebbe capire che nessuno resta indietro nella vita, perchè la vita non è una gara a chi arriva prima o fa più cose, la vita è un momento, dove ogni persona dovrebbe stare in pace, godere delle bellezze che offre la terra invece di distruggerle e scopare senza farsi pippe mentali. Dopo la vita c'è la morte.
Ricordiamo "La livella":
'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo,trasenno stu canciello ha fatt'o punto c'ha perzo tutto,'a vita e pure 'o nomme:tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?
Perciò,stamme a ssenti...nun fa''o restivo,suppuorteme vicino-che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"

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lunedì, novembre 06, 2006

La teoria delle finestre rotte

E' da parecchio che sostengo questa teoria, ci vorrà un pò per leggerla ma penso che ne valga la pena soprattutto per chi ha a cuore la cultura e la nostra società che va sempre più a puttane (e non mi chiama mai cazzarola!). La mente mi è stata svegliata dal magistrato scrittore che era ospite dalla Dandini() così ho fatto na ricerca su Internet. I paesi del sud (Napoli nella fattispecie, ma anche del sud del mondo) avrebbero bisogno di mettere in pratica questa teoria, (che certamente ha bisogno di tempo ma secondo me è utilissima) essendo vissuto in provincia di Napoli posso testimoniore la veridicità degli assunti di fondo (madò come parlo bene, quasi meglio di Fini...). Premetto che non la vedo negli stessi termini di "pulizia" che vengono descritti qui sotto ma c'è di vero che l'ambiente trasforma il modo di fare e che anche l'architettura dovrebbe darsi da fare per creare ambienti e contesti migliori dove anche i + poveri possano avere dei giardini e dei quartieri a misura d'uomo e non di topo.

Lo riporto da qui: http://www.veaconsulting.it/la-teoria-delle-finestre-rotte,176,120.html
Nell’ambito del Global Service della Provincia di Treviso, dove VeA Consulting ha la direzione tecnica, ha trovato applicazione la Teoria delle Finestre Rotte come strumento perché la scuola possa contribuire in modo efficace al mantenimento della qualità della vita in questo territorio (nel 2004 la Provincia di Treviso è risultata prima per la qualità della vita).
Questa è una teoria epidemica della criminalità. Afferma che la criminalità è un fenomeno contagioso, come è contagiosa una tendenza della moda, che può iniziare con una finestra rotta e diffondersi a un’intera comunità.. L’impulso ad assumere un determinato comportamento non parte da un particolare tipo di persona, ma da una caratteristica dell’ambiente circostante.
La "teoria delle finestre rotte" è il frutto dell’ingegno dei criminologi James Q. Wilson e George Kelling. I due sostenevano che la criminalità è l’inevitabile risultato del disordine: se una finestra è rotta e non viene riparata, chi vi passa davanti concluderà che nessuno se ne preoccupa e che nessuno ha la responsabilità di provvedere. Ben presto ne verranno rotte molte altre e la sensazione di anarchia si diffonderà da quell’edificio alla via su cui si affaccia, dando il segnale che tutto è possibile. In una città, problemi di minore importanza, come i graffiti, il disordine pubblico e la mendicità aggressiva, a quanto scrivono i due studiosi, sono l’equivalente delle finestre rotte, ossia inviti a crimini più gravi: “Rapinatori e ladri, sia occasionali sia di professione, sanno che le possibilità di essere catturati, o persino identificati, si riducono se agiscono in strade in cui le vittime potenziali sono già intimidite dalle condizioni dominanti.

A metà degli anni Ottanta, l’azienda dei trasporti di New York chiese l’intervento di Kelling in qualità di consulente; egli invitò l’azienda a mettere in pratica la teoria delle finestre rotte ed essa acconsentì, affidando la nuova direzione del servizio di metropolitana a David Gunn, incaricato di sovrintendere alla ricostruzione della rete con un investimento di miliardi di dollari. Molti sostenitori del progetto, al tempo, dissero a Gunn di non preoccuparsi dei graffiti e di concentrarsi piuttosto su questioni criminali più gravi, oltre che sull’affidabilità della rete: un consiglio che sembrava ragionevole. Preoccuparsi dei graffiti in un momento in cui l’intero sistema era prossimo al collasso poteva sembrare inutile come spazzare i ponti del Titanic mentre puntava dritto verso l’iceberg. Ma Gunn insistette. “I graffiti simboleggiavano il collasso del sistema” afferma. “Se ti fermavi a osservare il processo di ricostruzione dell’organizzazione e della morale, ti accorgevi che bisognava vincere la battaglia contro i graffiti. Senza quella vittoria, tutte le riforme ai vertici del sistema e i cambiamenti concreti non si sarebbero verificati. Stavamo per mandare in giro nuovi treni il cui valore si aggirava sui dieci milioni di dollari l’uno e se non avessimo fatto qualcosa per salvaguardarli, sapevamo esattamente ciò che sarebbe accaduto: sarebbero durati un giorno, dopodiché sarebbero caduti vittima del vandalismo.”
Gunn disegnò una nuova struttura dirigenziale e fissò una serie precisa di obiettivi e una tempistica allo scopo di ripulire tutta la metropolitana, treno per treno. Iniziò con la linea n.7, che collega il Queens al centro di Manhattan, e si buttò a sperimentare le nuove tecniche di ripulitura della vernice. Gunn impose la regola ferrea che non ci sarebbe stato alcun passo indietro e che non si sarebbe mai più permesso che una vettura, una volta “recuperata”, subisse nuovamente atti vandalici. “Fummo intransigenti a quel proposito” dice Gunn. Al capolinea della linea n. 1, nel Bronx, dove i treni si fermano prima di riprendere la corsa in senso inverso e ritornare a Manhattan, Gunn installò una stazione di ripulitura. Se una vettura tornava con nuovi graffiti, questi dovevano essere rimossi durante il turno di sosta, oppure il convoglio veniva escluso dal servizio. Le vetture “sporche”, che non erano ancora state ripulite dai graffiti, non dovevano mai viaggiare insieme a quelle “pulite”. L’idea era quella di lanciare un messaggio che risultasse privo di qualunque ambiguità anche agli occhi degli stessi vandali.
L’operazione di ripulitura di Gunn durò dal 1984 al 1990. a quel punto, l’autorità dei trasporti chiamò William Bratton a dirigere la polizia della metropolitana ed ebbe inizio la seconda fase del recupero. Il suo primo atto in qualità di capo della polizia della metropolitana, a prima vista, era tanto donchisottesco quanto quello di Gunn. Mentre gli atti di criminalità grave sulla metropolitana restavano a un livello elevato, Bratton decise di dare un giro di vite alla questione dei biglietti non pagati. La ragione, credeva che, come i graffiti, il non pagare i biglietti fosse un segnale, una lieve espressione di disordine che invitava a commettere crimini ben più gravi. Si stimava che 170.000 persone al giorno entrassero nella rete della metropolitana, in un modo o nell’altro, senza pagare. Alcuni erano ragazzini che saltavano semplicemente i cancelli automatici; altri li forzavano e, una volta che due o tre persone iniziavano a imbrogliare l’azienda, altre, che diversamente non avrebbero mai considerato l’ipotesi di eludere la legge, si univano a loro, argomentando che, se c’erano individui che non pagavano, nemmeno loro erano tenuti a farlo, e così si arrivava all’effetto valanga. Il problema era reso più grave dal fatto che si trattava di un fenomeno difficile da combattere. Dal momento che si trattava solo di un dollaro e venticinque, la polizia della metropolitana riteneva che non valesse la pena perdere tempo a cercare di fermare chi non pagava, soprattutto considerata la quantità enorme di reati molto più seri che si registrava quotidianamente lungo i binari e sui treni.
Bratton è un uomo pittoresco e carismatico, un leader per nascita, e la sua presenza si fece sentire molto in fretta. Sua moglie era rimasta a Boston, così era libero di fermarsi al lavoro fino a tardi e di sera gironzolava per la città in metropolitana, in modo da vedere con i propri occhi quali fossero i problemi e quale il modo migliore per combatterli. Per prima cosa scelse le stazioni dove il fenomeno dei passeggeri abusivi era il problema maggiore e piazzò fino a dieci poliziotti in borghese ai cancelli d’entrata. La squadra arrestava le persone che non pagavano una alla volta, le ammanettava e le lasciava lì in piedi, ammucchiate sul binario, fino a che non aveva “riempito la rete”. L’idea era quella di segnalare, quanto più pubblicamente possibile, che la polizia della metropolitana adesso aveva davvero intenzione di usare le maniere forti con quelli che non pagavano il biglietto. Bratton recuperò un autobus e lo trasformò in una stazione mobile di polizia, dotata di fax, telefoni e l’attrezzatura necessaria per rilevare le impronte digitali. In breve, il tempo richiesto per assolvere le formalità dell’arresto venne ridotto a un’ora. Bratton, inoltre, insistette perché venissero effettuati controlli sulle persone arrestate e si scoprì che almeno per un arrestato su sette era stato emesso un mandato di cattura per un reato precedente e che uno su venti aveva con sé un’arma di vario genere. All’improvviso non fu difficile convincere gli agenti che la battaglia contro i viaggiatori abusivi avesse senso. “Per i poliziotti fu una festa” scrive Bratton. “Ogni arresto era come aprire un pacchetto di patatine. Che sorpresa ci troverò? Una pistola? Un coltello? Un mandato di cattura? Un omicida? (...) Dopo qualche tempo, i cattivi misero giudizio, iniziarono a lasciare a case le armi e a pagare il biglietto.” Durante i primi mesi in carica di Bratton, il numero delle espulsioni dalle stazioni della metropolitana (per ubriachezza o per schiamazzi in luogo pubblico) triplicò. Tra il 1990 e il 1994 gli arresti per quel genere di violazioni meno gravi che per lungo tempo erano passate inosservate quintuplicarono. Bratton trasformò la polizia della metropolitana in un’organizzazione focalizzata sulle infrazioni minori, sui dettagli della vita sotterranea.
In seguito all’elezione di Rudolph Giuliani a sindaco di New York, nel 1994, Bratton venne nominato capo del Dipartimento di Polizia ed estese l’applicazione delle stesse strategie all’intera città. Diede ordine ai suoi agenti di usare la mano pesante con i reati minori: con i lavavetri che agli incroci si avvicinavano agli automobilisti chiedendo soldi per lavare i parabrezza, per esempio, e con tutti coloro i quali, in superficie, commettevano reati equivalenti a quelli dei graffitisti e di chi non pagava il biglietto. “La precedente amministrazione della polizia aveva avuto le mani legate dalle restrizioni” afferma Bratton. “Noi eliminammo quei limiti. Intensificammo il pugno di ferro della legge contro chi girava ubriaco oppure urinava in luoghi pubblici e arrestammo i trasgressori recidivi, compresi quelli che gettavano le bottiglie vuote sulla strada o erano coinvolti in danni, anche minimi, alle proprietà demaniali (...) Se urinavi per la strada, finivi al fresco.” Quando la criminalità iniziò a diminuire in città, in modo veloce e improvviso come era accaduto per la metropolitana, Bratton e Giuliani indicarono la stessa causa: reati apparentemente insignificanti, sostennero, erano i punti critici della criminalità violenta.
La teoria della finestre rotte e quella del potere del contesto sono una cosa sola. Entrambe si fondano sulla premessa che un’epidemia possa essere stroncata intervenendo sui dettagli minori dell’ambiente immediatamente circostante. Anche questa, a pensarci, è un’idea rivoluzionaria....
Ma che cosa suggeriscono le teorie delle finestre rotte e del potere del contesto? Esattamente l’opposto. Sostengono, infatti, che il criminale, lungi dall’essere qualcuno che agisce secondo ragioni intrinseche profonde e che vive in un mondo tutto suo, sia in realtà una persona particolarmente sensibile all’ambiente in cui si trova, attenta a qualsiasi segnale e indotta a commettere reati basandosi sulla percezione che ha del mondo intorno a sé. Si tratta di un’idea incredibilmente radicale e, per certi versi, inverosimile. Qui, ci spingiamo addirittura oltre, in un’altra dimensione ancora. La teoria del potere del contesto è una tesi ambientale: sostiene che il comportamento sia in funzione del contesto sociale, ma è un genere di ambientalismo davvero strano. Negli anni Sessanta, i liberal sostennero una tesi simile, ma quando parlavano dell’importanza dell’ambiente si riferivano all’importanza dei fattori sociali fondamentali: la criminalità, dicevano, era il risultato dell’ingiustizia sociale, di iniquità economiche strutturali, della disoccupazione, del razzismo, di decenni di negligenza istituzionale e sociale, per cui se si voleva fermare la delinquenza si doveva avere il coraggio di compiere azioni eroiche. La legge del potere del contesto, invece, afferma che ciò che importa veramente sono le piccole cose....
La legge del potere del contesto asserisce che non è necessario risolvere i grandi problemi per sgominare la criminalità. E’ possibile prevenirla semplicemente ripulendo i graffiti e fermando chi non paga il biglietto.

(Dal libro “Il punto critico - I grandi effetti dei piccoli cambiamenti” di Malcolm Gladwell: )


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