Pubblicità sociale, ambiente e politica

lunedì, novembre 06, 2006

La teoria delle finestre rotte

E' da parecchio che sostengo questa teoria, ci vorrà un pò per leggerla ma penso che ne valga la pena soprattutto per chi ha a cuore la cultura e la nostra società che va sempre più a puttane (e non mi chiama mai cazzarola!). La mente mi è stata svegliata dal magistrato scrittore che era ospite dalla Dandini() così ho fatto na ricerca su Internet. I paesi del sud (Napoli nella fattispecie, ma anche del sud del mondo) avrebbero bisogno di mettere in pratica questa teoria, (che certamente ha bisogno di tempo ma secondo me è utilissima) essendo vissuto in provincia di Napoli posso testimoniore la veridicità degli assunti di fondo (madò come parlo bene, quasi meglio di Fini...). Premetto che non la vedo negli stessi termini di "pulizia" che vengono descritti qui sotto ma c'è di vero che l'ambiente trasforma il modo di fare e che anche l'architettura dovrebbe darsi da fare per creare ambienti e contesti migliori dove anche i + poveri possano avere dei giardini e dei quartieri a misura d'uomo e non di topo.

Lo riporto da qui: http://www.veaconsulting.it/la-teoria-delle-finestre-rotte,176,120.html
Nell’ambito del Global Service della Provincia di Treviso, dove VeA Consulting ha la direzione tecnica, ha trovato applicazione la Teoria delle Finestre Rotte come strumento perché la scuola possa contribuire in modo efficace al mantenimento della qualità della vita in questo territorio (nel 2004 la Provincia di Treviso è risultata prima per la qualità della vita).
Questa è una teoria epidemica della criminalità. Afferma che la criminalità è un fenomeno contagioso, come è contagiosa una tendenza della moda, che può iniziare con una finestra rotta e diffondersi a un’intera comunità.. L’impulso ad assumere un determinato comportamento non parte da un particolare tipo di persona, ma da una caratteristica dell’ambiente circostante.
La "teoria delle finestre rotte" è il frutto dell’ingegno dei criminologi James Q. Wilson e George Kelling. I due sostenevano che la criminalità è l’inevitabile risultato del disordine: se una finestra è rotta e non viene riparata, chi vi passa davanti concluderà che nessuno se ne preoccupa e che nessuno ha la responsabilità di provvedere. Ben presto ne verranno rotte molte altre e la sensazione di anarchia si diffonderà da quell’edificio alla via su cui si affaccia, dando il segnale che tutto è possibile. In una città, problemi di minore importanza, come i graffiti, il disordine pubblico e la mendicità aggressiva, a quanto scrivono i due studiosi, sono l’equivalente delle finestre rotte, ossia inviti a crimini più gravi: “Rapinatori e ladri, sia occasionali sia di professione, sanno che le possibilità di essere catturati, o persino identificati, si riducono se agiscono in strade in cui le vittime potenziali sono già intimidite dalle condizioni dominanti.

A metà degli anni Ottanta, l’azienda dei trasporti di New York chiese l’intervento di Kelling in qualità di consulente; egli invitò l’azienda a mettere in pratica la teoria delle finestre rotte ed essa acconsentì, affidando la nuova direzione del servizio di metropolitana a David Gunn, incaricato di sovrintendere alla ricostruzione della rete con un investimento di miliardi di dollari. Molti sostenitori del progetto, al tempo, dissero a Gunn di non preoccuparsi dei graffiti e di concentrarsi piuttosto su questioni criminali più gravi, oltre che sull’affidabilità della rete: un consiglio che sembrava ragionevole. Preoccuparsi dei graffiti in un momento in cui l’intero sistema era prossimo al collasso poteva sembrare inutile come spazzare i ponti del Titanic mentre puntava dritto verso l’iceberg. Ma Gunn insistette. “I graffiti simboleggiavano il collasso del sistema” afferma. “Se ti fermavi a osservare il processo di ricostruzione dell’organizzazione e della morale, ti accorgevi che bisognava vincere la battaglia contro i graffiti. Senza quella vittoria, tutte le riforme ai vertici del sistema e i cambiamenti concreti non si sarebbero verificati. Stavamo per mandare in giro nuovi treni il cui valore si aggirava sui dieci milioni di dollari l’uno e se non avessimo fatto qualcosa per salvaguardarli, sapevamo esattamente ciò che sarebbe accaduto: sarebbero durati un giorno, dopodiché sarebbero caduti vittima del vandalismo.”
Gunn disegnò una nuova struttura dirigenziale e fissò una serie precisa di obiettivi e una tempistica allo scopo di ripulire tutta la metropolitana, treno per treno. Iniziò con la linea n.7, che collega il Queens al centro di Manhattan, e si buttò a sperimentare le nuove tecniche di ripulitura della vernice. Gunn impose la regola ferrea che non ci sarebbe stato alcun passo indietro e che non si sarebbe mai più permesso che una vettura, una volta “recuperata”, subisse nuovamente atti vandalici. “Fummo intransigenti a quel proposito” dice Gunn. Al capolinea della linea n. 1, nel Bronx, dove i treni si fermano prima di riprendere la corsa in senso inverso e ritornare a Manhattan, Gunn installò una stazione di ripulitura. Se una vettura tornava con nuovi graffiti, questi dovevano essere rimossi durante il turno di sosta, oppure il convoglio veniva escluso dal servizio. Le vetture “sporche”, che non erano ancora state ripulite dai graffiti, non dovevano mai viaggiare insieme a quelle “pulite”. L’idea era quella di lanciare un messaggio che risultasse privo di qualunque ambiguità anche agli occhi degli stessi vandali.
L’operazione di ripulitura di Gunn durò dal 1984 al 1990. a quel punto, l’autorità dei trasporti chiamò William Bratton a dirigere la polizia della metropolitana ed ebbe inizio la seconda fase del recupero. Il suo primo atto in qualità di capo della polizia della metropolitana, a prima vista, era tanto donchisottesco quanto quello di Gunn. Mentre gli atti di criminalità grave sulla metropolitana restavano a un livello elevato, Bratton decise di dare un giro di vite alla questione dei biglietti non pagati. La ragione, credeva che, come i graffiti, il non pagare i biglietti fosse un segnale, una lieve espressione di disordine che invitava a commettere crimini ben più gravi. Si stimava che 170.000 persone al giorno entrassero nella rete della metropolitana, in un modo o nell’altro, senza pagare. Alcuni erano ragazzini che saltavano semplicemente i cancelli automatici; altri li forzavano e, una volta che due o tre persone iniziavano a imbrogliare l’azienda, altre, che diversamente non avrebbero mai considerato l’ipotesi di eludere la legge, si univano a loro, argomentando che, se c’erano individui che non pagavano, nemmeno loro erano tenuti a farlo, e così si arrivava all’effetto valanga. Il problema era reso più grave dal fatto che si trattava di un fenomeno difficile da combattere. Dal momento che si trattava solo di un dollaro e venticinque, la polizia della metropolitana riteneva che non valesse la pena perdere tempo a cercare di fermare chi non pagava, soprattutto considerata la quantità enorme di reati molto più seri che si registrava quotidianamente lungo i binari e sui treni.
Bratton è un uomo pittoresco e carismatico, un leader per nascita, e la sua presenza si fece sentire molto in fretta. Sua moglie era rimasta a Boston, così era libero di fermarsi al lavoro fino a tardi e di sera gironzolava per la città in metropolitana, in modo da vedere con i propri occhi quali fossero i problemi e quale il modo migliore per combatterli. Per prima cosa scelse le stazioni dove il fenomeno dei passeggeri abusivi era il problema maggiore e piazzò fino a dieci poliziotti in borghese ai cancelli d’entrata. La squadra arrestava le persone che non pagavano una alla volta, le ammanettava e le lasciava lì in piedi, ammucchiate sul binario, fino a che non aveva “riempito la rete”. L’idea era quella di segnalare, quanto più pubblicamente possibile, che la polizia della metropolitana adesso aveva davvero intenzione di usare le maniere forti con quelli che non pagavano il biglietto. Bratton recuperò un autobus e lo trasformò in una stazione mobile di polizia, dotata di fax, telefoni e l’attrezzatura necessaria per rilevare le impronte digitali. In breve, il tempo richiesto per assolvere le formalità dell’arresto venne ridotto a un’ora. Bratton, inoltre, insistette perché venissero effettuati controlli sulle persone arrestate e si scoprì che almeno per un arrestato su sette era stato emesso un mandato di cattura per un reato precedente e che uno su venti aveva con sé un’arma di vario genere. All’improvviso non fu difficile convincere gli agenti che la battaglia contro i viaggiatori abusivi avesse senso. “Per i poliziotti fu una festa” scrive Bratton. “Ogni arresto era come aprire un pacchetto di patatine. Che sorpresa ci troverò? Una pistola? Un coltello? Un mandato di cattura? Un omicida? (...) Dopo qualche tempo, i cattivi misero giudizio, iniziarono a lasciare a case le armi e a pagare il biglietto.” Durante i primi mesi in carica di Bratton, il numero delle espulsioni dalle stazioni della metropolitana (per ubriachezza o per schiamazzi in luogo pubblico) triplicò. Tra il 1990 e il 1994 gli arresti per quel genere di violazioni meno gravi che per lungo tempo erano passate inosservate quintuplicarono. Bratton trasformò la polizia della metropolitana in un’organizzazione focalizzata sulle infrazioni minori, sui dettagli della vita sotterranea.
In seguito all’elezione di Rudolph Giuliani a sindaco di New York, nel 1994, Bratton venne nominato capo del Dipartimento di Polizia ed estese l’applicazione delle stesse strategie all’intera città. Diede ordine ai suoi agenti di usare la mano pesante con i reati minori: con i lavavetri che agli incroci si avvicinavano agli automobilisti chiedendo soldi per lavare i parabrezza, per esempio, e con tutti coloro i quali, in superficie, commettevano reati equivalenti a quelli dei graffitisti e di chi non pagava il biglietto. “La precedente amministrazione della polizia aveva avuto le mani legate dalle restrizioni” afferma Bratton. “Noi eliminammo quei limiti. Intensificammo il pugno di ferro della legge contro chi girava ubriaco oppure urinava in luoghi pubblici e arrestammo i trasgressori recidivi, compresi quelli che gettavano le bottiglie vuote sulla strada o erano coinvolti in danni, anche minimi, alle proprietà demaniali (...) Se urinavi per la strada, finivi al fresco.” Quando la criminalità iniziò a diminuire in città, in modo veloce e improvviso come era accaduto per la metropolitana, Bratton e Giuliani indicarono la stessa causa: reati apparentemente insignificanti, sostennero, erano i punti critici della criminalità violenta.
La teoria della finestre rotte e quella del potere del contesto sono una cosa sola. Entrambe si fondano sulla premessa che un’epidemia possa essere stroncata intervenendo sui dettagli minori dell’ambiente immediatamente circostante. Anche questa, a pensarci, è un’idea rivoluzionaria....
Ma che cosa suggeriscono le teorie delle finestre rotte e del potere del contesto? Esattamente l’opposto. Sostengono, infatti, che il criminale, lungi dall’essere qualcuno che agisce secondo ragioni intrinseche profonde e che vive in un mondo tutto suo, sia in realtà una persona particolarmente sensibile all’ambiente in cui si trova, attenta a qualsiasi segnale e indotta a commettere reati basandosi sulla percezione che ha del mondo intorno a sé. Si tratta di un’idea incredibilmente radicale e, per certi versi, inverosimile. Qui, ci spingiamo addirittura oltre, in un’altra dimensione ancora. La teoria del potere del contesto è una tesi ambientale: sostiene che il comportamento sia in funzione del contesto sociale, ma è un genere di ambientalismo davvero strano. Negli anni Sessanta, i liberal sostennero una tesi simile, ma quando parlavano dell’importanza dell’ambiente si riferivano all’importanza dei fattori sociali fondamentali: la criminalità, dicevano, era il risultato dell’ingiustizia sociale, di iniquità economiche strutturali, della disoccupazione, del razzismo, di decenni di negligenza istituzionale e sociale, per cui se si voleva fermare la delinquenza si doveva avere il coraggio di compiere azioni eroiche. La legge del potere del contesto, invece, afferma che ciò che importa veramente sono le piccole cose....
La legge del potere del contesto asserisce che non è necessario risolvere i grandi problemi per sgominare la criminalità. E’ possibile prevenirla semplicemente ripulendo i graffiti e fermando chi non paga il biglietto.

(Dal libro “Il punto critico - I grandi effetti dei piccoli cambiamenti” di Malcolm Gladwell: )


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8 Comments:

Blogger Gneo Pompeo said...

Ho due "zone di dubbio " leggendo questo articolo.
1) In psicologia due correnti contrapposte sono gli Innatisti e gli Ambientalisti.In sintesi: la prima afferma che il comportamento è frutto di un bagaglio cognitivo che abbiamo e svilupiamo fin dalla nascita; la seconda che il bambino è una tabula rasa da riempire e il comportamento è condizionato dall'ambiente circostante (e mi pare che la tesi di fondo qui è palesemente schierata con i secondi).
Personalmente penso che le teorie che si trovano nel mezzo e cercano di sintetizzare i due punti di vista si avvicinino di più ad un ragionamento plausibile.Ognuno ha un potenziale e delle caratteristiche precise già prima di nascere (e qui i biologhi mi verranno in aiuto) e chiunque è più o meno condizionato e influenzato da ciò che lo circonda: l'educazione, la scuola, eccetera eccetera. Se l'antidoto è la pura repressione con la forza c'è il rischio che questa diventi un boomerang fomentando violenza di ritorno.Se io oggi faccio i graffiti( e anche qui ci sarebbe da discutere se considerare i graffiti come pura "delinquenza" o mezzo di espressione artistica, leggittimata in quanto tale da moltissime fonti autorevoli, espressione ormai di più generazioni)e tu mi schiaffi dentro io sarò ancora più incazzato con l'ambiente che mi circonda e domani appena esco il treno lo spacco invece di dipingerlo.Al contrario, come accade per esempio a Barcellona, io faccio i graffiti perchè la mia città è grigia e brutta, ho l'urgenza di esprimermi e i graffiti fanno parte della mia cultura, tu mi dai uno spazio, delle regole e la possibilità di farli dove è meglio per tutti.Senza arrivare a Barcellona alla stazione Tiburtina qualche anno fà è stato concesso uno spazio a tutti i graffitari Romani, che hanno decisamente migliorato uno spazio orribile della città.
Sono più per l'integrazione e la regolamentazione che per il proibizionismo e la repressione, e non per un blando moralismo politically correct, ma perchè è dimostrato che i rinforzi positivi e i premi, le possibiltà insomma, sono più efficaci delle punizioni.
Poi sono daccordo che non pagare il biglietto è un atto di inciviltà che fa parte di una catena e di un processo di illegalità più ampia.
Concordo con la diagniosi del male, ma non con la scelta della cura.

lunedì, novembre 06, 2006 4:56:00 PM  
Blogger Gneo Pompeo said...

Ho dato parecchia enfasi a graffiti, ma voleva solo essere un esempio.Non vorrei che il post qui sopra venisse letto solo come una difesa dei graffitari.
E ovviamente non è esaustivo..bò..

lunedì, novembre 06, 2006 4:58:00 PM  
Blogger Unknown said...

NO ma infatti anche io sono contrario alla repressione di queste forme culturali (e chiamiamole culturali. Il problema è che questa teoria ha parecchie forme di applicazione e io la vedevo sotto forma di urbanistica, come ho scritto prima di introdurre la teoria. Finestra rotta vuol dire anche quartiere di merda e grigio, per come la vedo io, ed è lì che cmq si crea l'humus per la delinquenza ma non solo per la delinquenza, anche noi stiamo ben attenti a gettare una carta in posti belli mentre se ci troviamo in un quartiere di merda la buttiamo senza troppe accortezze (perdonate la generalizzazione). Al mutare dell'ambiente muta anche il rispetto che si ha verso di questo. Il problema di New York è estremo ma va anche detto che se imbratti i muri a Tiubritna tanto di guadagnato se li imbratti al centro il comune dovrà ritinteggiare e ci sarà il solito magna magna di soldi. Ci sono parecchi punti di vista, io non sono di certo per quello repressivo. Molto meglio creare in precedenza condizioni di vita "umane".

lunedì, novembre 06, 2006 5:29:00 PM  
Blogger il Bruco said...

Un articolo bellissimo!

Non credo sia esatto chiamarla repressione; oppure, tanto per stare sull'esempio, dire che i graffiti siano cultura.
L'articolo parla chiaro: credo che l'effetto boomerang sia una possibilità, che però non ha trovato riscontro nella realtà.
Questo mi fa ben sperare!
Agire con intelligenza, senza combattere con la forza l'inciviltà; capire le meccaniche della coscienza incivile e modificarle, con atti contrari.

In un paese liberale ci sono regole da seguire, senza essere moralisti; e, in più, occorre punire chi sbaglia, senza essere giustizialisti (l'ottimo articolo di Ottone sul Venerdì della scorsa settimana, lo sottolinea e parla dei guai dei due -ismi suddetti in questo paese).

Sono per una regolamentazione ferrea! che sfiori quasi la repressione.
Ma come giustamente ricorda Josè, la battaglia per la civiltà preventiva è meglio dell'eterno recuperare al danno.

Alessio

P.s.: per difendere la categoria dei filosofi e attaccare la sorella minore psicologia: innatisti ed empiristi esistevano ben prima di Freud! eh eh uno su tutti, Locke.

P.p.s.: diciamo che sono liberi di fare graffiti; ma io sono pure libero di non vedere obbrobri sulle mura, di non essere spettatore forzato di un'espressione non voluta nè condivisa! (Serra docet)

lunedì, novembre 06, 2006 8:09:00 PM  
Blogger il Bruco said...

Io sono d'accordo con il post, non tanto sul fatto di usare il pugno di ferro ma per l'importanza di avere un ambiente "pulito" e curato...
quando dico questo penso a Scampia!
non ci sono mai stato lì, pero' dai servizi che ho visto in TV, ho notato un posto molto squallido!
Dei mega palazzoni popolari dove abitano migliaia di persone...dei veri e propri eco-mostri!
Ti credo che lì comanda la Camorra!!!
simone

martedì, novembre 07, 2006 4:00:00 PM  
Blogger Unknown said...

Forse c'è anke un nesso tra abuso edilizio e squallore, cioè quando si fa un abuso edilizio si tende a fregare soldi e a risparmiare sui materiali, ecco perchè poi vengono fuori queli eco-mostri.

martedì, novembre 07, 2006 9:03:00 PM  
Blogger Gneo Pompeo said...

Sono decisamente daccodro per quanto riguarda le condizioni umane, e sull'importanza dell'edilizia e dell'ambiente circostante.
Porto la mia personalissima esperienza: 23 anni in periferia, anche se in una bellissima e curatissima periferia rispetto alle periferie grigie e senza verde, e due anni al "centro" in una zona di splendidi palazzetti residenziali.Cambia eccome.

Alcuni di noi hanno avuto la fortuna di vedere come si vive in nazioni europee dove la gente paga il biglietto, dove nessuno parcheggia in doppia fila e nessuno si sogna di buttare la carta per terra; si campa meglio è innegabile.Appunto, concordo nell'analisi del male, ma per esempio in Spagna se sali sull'autobus dalla porta centrale invece che da quella anteriore non è il conducente o un qualsiasi rappresentante dell'autorità costituita a riprenderti, ma gli altri passeggeri che ti cazziano (di solito inveendo contro la tua "italianità"), così come quest'estate a Berlino un barbone mi ha inseguito nella metro facendomi notare che non avevo timbrato il biglietto...UN BARBONE!
Se la capoccia della gente è fatta male non la raddrizzi a bastonate (credo...)
Siamo dei pessimi cittadini, forse l'origine di questa mancanza di senso comune ci viene da una storia di divisioni e cronica mancanza di senso di appartenenza a uno Stato, non sò.

In risposta ad Alessio:
Le regole vanno rispettate, e questo è sacrosanto, ma le regole servono a gestire le esigenze di convivenza, è inutile dire: le regole ci sono vanno rispettate, punto.Spesso la prassi diventa legge e non il contrario, e meno male. Non intendo giustificare atteggiamenti illegali o idioti, ma credo che bisognerebbe insistere nel far capire che CONVIENE, è più utile, comodo, pratico, rispettare le regole, e non credo che dire "se non lo fai ti punisco" sia più efficace di " se lo fai è meglio per te", se vivi in un luogo più umano è meglio per te, se l'autobus funziona è meglio per te, se non c'è traffico è meglio per te.
Credo che ci sia in ballo la pessima concezione dello stato tutta italiana, ovvero:" lo stato è altro da me"; altrove si ha la concezione " lo stato sono anche io".
Qualcuno sa perchè non si insegna più Educazione Civica a scuola?

Per non difendere nessuna categoria (men che meno gli psicoligi :)) Empirismo ed Innatismo sono due nomi dati a concetti e idee che l'uomo si porta dietro da millenni (è NATO PRIMA L'UOVO O LA GALLINA?).

mercoledì, novembre 08, 2006 4:31:00 PM  
Blogger il Bruco said...

L'uovo!
:)
sim.

giovedì, novembre 09, 2006 6:20:00 PM  

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